Come riconoscere e cosa fare con un bambino oppositivo-provocatorio

Che cos’è? Il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) è una patologia neuropsichiatrica dell’età evolutiva, caratterizzata da una modalità ricorrente di comportamento negativistico, ostile e di sfida, che però non arriva a violare le norme sociali né diritti altrui.

La diagnosi in età evolutiva non è sempre facile, in quanto, il soggetto attraversa un periodo d’instabilità, in cui affronta cambiamenti repentini che lo fanno crescere mentalmente e fisicamente. Spesso tra normalità e patologia c’è un confine molto sottile, che diventa quasi invisibile quando si analizzano dei bambini. Infatti, nel corso della prima infanzia spesso i bambini diventano davvero incontrollabili, corrono da una parte all’altra, rompono tutto per la curiosità di scoprire come sono fatte le cose all’interno. L’aggressività e l’ostilità sono mezzi attraverso i quali si esprime l’egoismo infantile e servono al bambino per imparare a distinguere il sé dagli altri, a capire le regole sociali ed a sperimentare le prime forme d’adattamento.

Possono essere scontrosi e capricciosi ma nei bambini che manifestano comportamenti oppostivo provocatori queste caratteristiche si presentano amplificate tanto da arrivare a compromettere, in maniera significativa, il loro inserimento sociale.

Come si manifestano i bambini con tale disturbo?

Il bambino può presentare spesso collera, sfida o rifiuto di rispettare le regole proposte dagli adulti, spesso litiga con gli adulti e irrita deliberatamente le persone, accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento. È spesso arrabbiato, rancoroso, dispettoso e vendicativo. Già nell’età prescolare, può avere temperamenti problematici ma è intorno ai 3 – 4 anni, con l’ingresso a scuola che il problema diverrà sempre più evidente. Questi bambini, infatti, mostrano una totale incapacità di adattamento alle regole scolastiche, influenzando anche l’attività didattica dell’intera classe. Possono presentare scarsa autostima, labilità d’umore, scarsa tolleranza alla frustrazione, conflitti con genitori, insegnanti e coetanei.

Prendersene cura è molto difficile, sono causa di stanchezza, di scoraggiamento e di frustrazione per chiunque cerchi di instaurare con loro un rapporto.

Come aiutarli ad uscire da questo stato di disagio?

La parola d’ordine, di un buon intervento educativo e psicologico, dovrà essere “comprensione”.

Sono bambini che non vanno curati, né cambiati, ma prima di tutto capiti.

Con i loro comportamenti sembrano volerci allontanare, ma se ce ne andiamo soffrono di solitudine.

Forse sono ostili perché cercano di difendersi, a causa di traumi che li hanno portati a diffidare degli altri, oppure vogliono attirare l’attenzione, perché hanno bisogno di comunicare i loro problemi e non conoscono altro canale che l’aggressività.

Il soggetto affetto dal DOP non vive una vita felice e serena, l’immagine che ha di sé è molto svalutante, si considera un incapace, indegno dell’amore altrui e crede che nessuno mai gli potrà essere amico, si sente continuamente rifiutato, anche se sa di essere lui stesso la causa del suo isolamento. Il rapporto che questi soggetti hanno con i loro parenti è molto complesso, alla lunga, tende a sgretolare l’unità familiare.

Sono gli stessi genitori ad attribuire ai loro figli delle etichette, a definirli “insopportabili”, “aggressivi”, “terribili”. Queste espressioni che possono essere dettate da un momento di collera, se ripetute più e più volte, vengono interiorizzate dal bambino.

Se qualcuno gli si avvicina per instaurare un rapporto, anziché esserne felice, si mostra diffidente e reagisce con il suo repertorio di comportamenti ostili, come a voler mettere alla prova le intenzioni del suo interlocutore: “Mi vuoi bene anche se ti dimostro che non valgo niente, anche se ti faccio vedere che mi sono preso gioco di te? Mi vuoi bene anche se io stesso sono sicuro di essere un buono a nulla, e sono certo che nessuno mi potrà mai amare?”.

Diversi sono i metodi, utilizzabili sia in un contesto scolastico che familiare, che permettono di “punire” il bambino in maniera intelligente, evitando cioè di fare ricorso a castighi rigidi e rimproveri umilianti, che potrebbero produrre effetti indesiderati. Per esempio: preferire sempre la perdita di un privilegio (es. uscire o guardare la tv) alla punizione (es. fare qualcosa di spiacevole); se si decide di punire NON usare mai la violenza fisica; ricordarsi di dare il “buon esempio”.

La punizione non dovrà servire a formulare giudizi, ma dovrà limitarsi a descrivere il comportamento indesiderato in maniera obiettiva. Al bambino verranno spiegate le motivazioni che rendono sbagliata tale condotta, verranno suggerite modalità comportamentali alternative e verranno indicati i vantaggi derivanti dalla loro messa in atto.

Inoltre, è molto utile concentrare l’attenzione sui genitori e sulle loro pratiche educative, perché possono aver giocato un ruolo importante nello sviluppo e nel mantenimento del disagio. Si deve evitare sempre di dare giudizi pessimistici, perché possono generare stati emotivi negativi nei genitori. Invece è importante sostenerli per trovare le strategie giuste affinché si possa modificare l’attuale situazione.

Dipendenza da Internet, videogames e cellulari: capire ed intervenire.

Nell’epoca della comunicazione mediata dalla tecnica ci si interroga ancora sulle nuove dipendenze che caratterizzano gli adolescenti di oggi, dipendenze che sono in aumento, destando un notevole allarme sociale. E’ sotto gli occhi di tutti come lo sviluppo esponenziale delle nuove tecnologie abbia notevolmente contribuito a trasformare le forme di comunicazione all’interno della società e a modificare stili di vita e modelli comportamentali in tempo rapido.

Si chiamano “web kids” e rappresentano il popolo degli under 18 che naviga spedito su internet, chatta on-line con la stessa naturalezza con cui le precedenti generazioni usavano il telefono, privilegia l’e-mail  e gli sms come principale mezzo di comunicazione. Il web ha cambiato non solo il modo di comunicare ma anche il linguaggio. Come il web ha cambiato il modo di socializzare, gli sms hanno cambiato la comunicazione degli affetti tra i giovani. Inoltre, il linguaggio privilegiato è quello di sintesi, che da una parte, va dritto al sodo, dando vita ad un discorso lineare e concreto, dall’altra, c’è il rischio che si taglino le gambe ai sentimenti ed alle emozioni.

Quali sono i bisogni che la rete soddisfa?

•             Sicurezza: i rapporti con gli amici nel gruppo permettono di trovare alleati nei confronti degli adulti e delle loro ingerenze;

•             Socializzazione: il gruppo offre la possibilità di non sentirsi soli e di trovare qualcuno con cui confidarsi in un clima non valutativo e accettante.

•             Spontaneità: il gruppo fornisce uno spazio in cui riesce ad essere se stesso anche nei suoi aspetti negativi, poiché l’altro vive la stessa condizione di disagio.

•             Specchio: il gruppo permette di vedere le proprie reazioni nelle azioni degli altri. Il comportamento dell’altro è un modello con il quale confrontarsi.

•             Selettività: il sentirsi appartenente ad un gruppo permette di differenziarsi rispetto sia agli altri coetanei sia agli adulti.

•             Transazione: il gruppo permette un graduale passaggio dallo stato di subordinazione verso gli adulti alla parità.

Internet riflette la necessità dei giovani di uscire dai vincoli del gruppo tradizionale per approdare ad una sorta di cyber-comitiva che può riunire centinaia di elementi di ambo i sessi e di tutte le provenienze socio-culturali e geografiche. I social networks inoltre, danno voce a tendenze ambivalenti della personalità, l’immagine di sé comprende aspetti realistici e idealizzati che convivono senza conflitto; si oscilla tra realtà e finzione tra le diverse modalità di pensiero come in un gioco che consente la simulazione.

Quali sono i rischi che si corrono con un utilizzo non controllato di internet e dei videogiochi?

A farne le spese è sia la scuola che il gioco tradizionale. Attualmente quest’ultimo, è stato quasi del tutto sostituito dal videogioco, che lascia poco spazio alla creatività individuale, comportando anche la rottura della rete di relazioni interpersonali, in quanto è una forma di gioco consumata in solitudine, che implica una sfida tra l’individuo e la macchina. I bambini e i ragazzi possono incorrere in difficoltà scolastiche dovute al poco tempo dedicato allo studio e alla scarsa concentrazione, perché distratti dal desiderio di giocare.

Quando si diventa dipendenti?

Ci sono delle situazioni in cui si è più predisposti a sviluppare tale dipendenza. Quando si attraversa un momento di difficoltà, il computer, i video-games, i cellulari riducono notevolmente lo stato di disagio, l’ansia e la solitudine, offrendo opportunità di svago e alleggerimento della mente. Altri elementi predittivi individuali, possono essere impulsività, ricerca di sensazioni (disinibizione e sensibilità alla noia)e bassa stabilità emotiva. Infine, ma non meno importante, inadeguato sostegno e monitoraggio da parte dei genitori, scarsa qualità relazionale con i pari e isolamento sociale.

Cosa possono provocare le nuove dipendenze?

Le dipendenze da prodotti tecnologici condividono con quella da sostanze alcune caratteristiche: l’attività domina i pensieri e assume un valore primario tra tutti gli interessi; nell’uso dello strumento si prova un aumento d’eccitazione o maggiore rilassatezza; è necessario aumentare il tempo d’uso per avere l’effetto desiderato; malessere psichico e/o fisico che si manifesta quando s’interrompe o si riduce l’utilizzo degli strumenti; si creano tensioni e liti tra chi utilizza gli strumenti e le persone che sono vicine, ma la persona che ne fa uso è in conflitto anche con se stessa, a causa del comportamento dipendente; tendenza a ricominciare l’attività dopo averla interrotta. Molti sono i disturbi correlati:  dell’Umore, d’Ansia, del Controllo degli Impulsi, di Personalità, problemi di autostima, disturbi del sonno, mal di schiena, mal di testa, sindrome del tunnel carpale, stanchezza degli occhi, irregolarità nell’alimentazione, alterazione dello stato di coscienza.

Come intervenire?

È importante rinforzare le strutture interne, aumentando l’autostima, sollecitando l’impegno in attività alternative più sane e la costruzione di una relazione di qualità con i pari. Inoltre, è importantissima la presenza e il sostegno da parte dei genitori  che devono essere disponibili ad ascoltare e condividere i problemi dei propri figli. Nei casi più problematici è importante intervenire con un sostegno psicologico sia per l’individuo, sia per la famiglia che si trova a fronteggiare il disagio.

Elaborazione del lutto nei bambini

Diverse volte nel mio lavoro come psicologa dell’età evolutiva mi è capitato di affrontare con i genitori il problema di come comunicare ai propri figli la morte di una persona amata, attraverso una modalità che fosse adatta e senza creare traumi nei bambini stessi.

È noto nella nostra società l’esistenza di un tabù rispetto alle esperienze di malattia, morte e lutto, ma ho potuto constatare quanto esso sia tanto più forte e censurante quando si tratta di introdurre tali temi con i bambini.

E’, infatti, estremamente diffusa la convinzione che i bambini debbano essere protetti dalla sofferenza attraverso l’allontanamento, il silenzio e l’evitamento di tutto ciò che ha a che fare con il mondo della malattia e della morte.

Di conseguenza è assai frequente che ai bambini vengano raccontare delle storie false per spiegare l’assenza di una persona che non c’è più, si tengono il più delle volte lontani dal contesto di dolore, il più delle volte, non viene presa nemmeno in considerazione la possibilità di far partecipare il bambino ai funerali e gli viene negato di salutare il morente.

Poter prendere parte ai rituali sociali di passaggio inerenti il lutto potrebbe invece rivelarsi particolarmente positivo. Il bambino in queste circostanze potrebbe comprendere che il dolore si può esprimere e mostrare, che non è il solo a provare sofferenza e tristezza (comprensione, legittimazione e condivisione emotiva da parte degli altri presenti); soprattutto, che è possibile supportarsi e sostenersi reciprocamente.

Bisogna anche considerare che la risposta dei bambini di fronte ad un evento di questo tipo non è per tutti la stessa. Infatti, le loro reazioni dipendono dall’interazione di molteplici fattori: l’età del bambino; la qualità del legame con la persona scomparsa; la possibilità di partecipare alla cura e al saluto della persona malata; le risorse dell’ambiente familiare e sociale; la possibilità di esprimere i propri sentimenti; la possibilità di proseguire la propria vita quotidiana.

Ogni bambino troverà un suo personale e specifico modo di elaborare il lutto. E’ comunque estremamente importante preparare, accompagnare e sostenere il bambino che si trova ad affrontare la scomparsa di un congiunto. Questo diventa fondamentale perché rappresenta un’occasione di apprendimento, in base alla quale saranno affrontate  le successive esperienze di perdita nel corso della vita.

Il lutto non è un momento, non è un evento, ma un processo che avviene nel tempo e che si ri-affronta più volte nel corso della vita, ad ogni nuova perdita e separazione.

Come ci si può prendere cura di un bambino che vive l’esperienza della morte di un nonno, di un amico, di un fratellino o di un genitore? Posto che ciascun legame e ciascuna figura ha la sua specificità, è vero che per i bambini il lutto richiede processi elaborativi complessi, che vanno sostenuti dagli adulti. Ci sono alcuni passaggi fondamentali:

–          Esprimere e comunicare il dolore: è l’adulto che per primo deve concedersi di dire il proprio dolore senza sentirsi inadeguato o di cattivo esempio. E’ importante che cerchi un linguaggio che sia da ponte verso il bambino e lo incoraggi nella manifestazione dei suoi stati d’animo, costruendo un ambiente accogliente e permissivo delle emozioni legate al lutto (tristezza, disorientamento, paura, rabbia, ecc.).

–          Dare una spiegazione: all’adulto spetta il compito di informare il bambino su quanto sta accadendo, potrebbe succedere o è già successo. Naturalmente in base all’età del bambino e alla sua capacità di comprendere il significato della morte l’adulto deve saper scegliere e calibrare le parole e le modalità più adatte. Spesso sono gli stessi adulti a sentirsi imbarazzati e spaventati nel dover spiegare qualcosa di grave ad un bambino, non sanno come farlo e soprattutto se sia giusto, temono di esporlo a maggiori sofferenze o a situazioni non comprensibili. Tenere i bambini all’oscuro da quello che succede di negativo, non li salvaguarda dalla sofferenza, inoltre sono in grado di comprendere molto bene che cosa sta accadendo, lo sentono, lo percepiscono, lo leggono dai volti, dalle conversazioni, dai non detti. I bambini sono interessati, a modo loro, al tema della morte e hanno bisogno di accostarvisi tramite una “guida” sicura.

–          Preparare e accompagnare il bambino: anche per i bambini è possibile imparare a confrontarsi con gli eventi dolorosi della vita, come il trauma, la malattia e la perdita. Nel momento in cui un bambino affronta per la prima volta la perdita di una persona che ama profondamente, è auspicabile, qualora l’evento non sia improvviso, che possa avvicinarsi e prepararsi gradualmente a quella scomparsa. Per permettere al bambino e al morente di salutarsi, per alleviare il possibile senso di colpa del bambino (anche rispetto al futuro); per aiutare il bambino a comprendere la finitezza della vita e delle relazioni umane che non significa subire una perdita assoluta.

–          Dare la possibilità di partecipare: partecipare ai rituali di saluto può rappresentare un’opportunità, un tassello nel percorso di elaborazione del bambino e per questo rivestire un significato importante. Poter esserci e poter salutare per l’ultima volta permette al bambino di farsi soggetto attivo, di inserire nella sua rappresentazione un’azione intrapresa e compiuta, non subìta. I bambini, a differenza degli adulti, non hanno la parola come canale privilegiato per raccontarsi. I bambini parlano con il corpo, con il gioco, con il disegno. Probabilmente la maggior parte dei bambini alternerà momenti di coinvolgimento e tristezza a momenti di gioco e apparente distrazione.

–      Condividere il ricordo: far emergere i ricordi in un ambiente supportivo, incoraggiare la narrazione e arricchirla per consolidare una rappresentazione positiva della relazione tra il bambino e la figura che ha dovuto lasciare.

Il lutto implica un impegnativo e faticoso lavoro psichico per tutti, ancora di più per i bambini. La morte però non è detto che debba rappresentare necessariamente un evento traumatizzante e devastante. Se ci dovessero essere delle difficoltà nel portare avanti un percorso di elaborazione del lutto è possibile richiedere un intervento specialistico, per accompagnare il bambino, i suoi adulti di riferimento e i suoi famigliari nel fronteggiare questo delicato passaggio di vita.

Il bambino e il suo amico immaginario

Quante volte ci è capitato di vedere un bambino o nostro figlio parlare o giocare con qualcuno anche se è da solo? Quel qualcuno potrebbe essere il suo amico immaginario, una creazione immaginaria positiva molto comune. È una fase tipica che attraversano molti bambini tra i 3 e gli 8 anni, fascia d’età in cui la capacità di distinguere tra realtà e sogno non è ancora acquisita.

È maggiormente frequente in bambini che hanno problemi di tipo emozionale, che hanno subito traumi, che vivono o hanno vissuto situazioni stressanti, l’uso della fantasia è il modo più sano che un bambino possa usare, e che gli adulti spesso invece dimenticano di possedere, per affrontare le proprie ansie e i propri problemi, piccoli o grandi.   Spesso l’amico immaginario si presenta quando l’ambiente attorno al bambino subisce un cambiamento o quando per vari motivi il bambino si trova frequentemente da solo. Per un certo periodo di tempo, questi personaggi accompagnano la crescita del bambino, crescendo e maturando anch’essi; può accadere che un compagno immaginario, creato inizialmente per puro e semplice divertimento all’interno di una situazione di gioco simbolico assolva poi altre funzioni, e diventi ad esempio fonte di conforto per il bambino nei momenti difficili o alleato prezioso nella lotta contro le sue paure. Altre volte, invece, può succedere il contrario, e cioè che l’amico, inventato in risposta ad un bisogno emotivo specifico, si riveli poi un compagno di giochi senza rivali, che, oltre ad aiutare, può anche divertire.  I bambini creano un compagno di giochi immaginario per portare fuori da se tutte quelle emozioni, tensioni e preoccupazioni che possono far parte della vita di tutti i giorni. Un amico che ci consola e che non rivela a nessuno le nostre preoccupazioni, può essere utile. Il bambino usa la sua immaginazione, non per scappare dalla realtà, ma per riuscire ad affrontarla nel modo migliore.

 I compagni immaginari, sia che ci si riferisca a situazioni infantili normali o particolari, svolgono funzioni fondamentali per lo sviluppo della personalità dei bambini che li inventano. Sanno rassicurare, consolare e dare conforto nei momenti difficili del “diventare grandi”; sanno compensare la loro fragilità o i limiti che l’essere piccoli impone. La straordinarietà di questa creazione sta nel fatto che esso assume, nella maggior parte dei casi, più ruoli contemporaneamente, a seconda delle necessità e dei bisogni emotivi del proprio creatore. In certi momenti può essere un compagno di giochi senza rivali, che usa le sue caratteristiche speciali per far vivere al bambino avventure senza fine, in altri può diventare una valvola di sfogo e un consolatore dolce e comprensivo, in altri ancora può ascoltare i dubbi e le preoccupazioni del bambino e rasserenarne l’anima, rassicurandolo.  Può essere una fonte di energia inesauribile, quando si è spaventati, il fatto di avere accanto qualcuno più forte e più abile di noi ci fa sentire più sicuri e ci dà il coraggio di affrontare le situazioni difficili.

Come ci si deve comportare?

– Se non vi sentite a vostro agio, nel calarvi in questo gioco, limitatevi ad ignorarlo. E’ preferibile però evitare frasi del tipo: “è una cosa stupida”, “non si può parlare con qualcuno che non esiste”. I bambini sanno perfettamente che i personaggi della fantasia vivono in un’altra dimensione rispetto a quella in cui vivono le persone in carne ed ossa e non si stupiscono affatto se voi non volete entrare nel loro mondo di fantasia.

– Se invece vi sentite di stare al gioco limitatevi a partecipare alle sue fantasie senza voler prendere le redini, razionalizzare il tutto o imporre le vostre regole.

– Se vostro figlio, o figlia, attribuisce le conseguenze delle sue azioni all’amico immaginario, come ad esempio, in una reazione di rabbia colpisce un bicchiere e poi dice: “è stato Paolo a versare l’acqua sul tavolo, non io!”,  potete creare una soluzione immaginaria al problema immaginario rispondendo: “allora potete pulire il tavolo tutti e due insieme!”, evitando in questo modo un conflitto, pur considerando il bambino responsabile di ciò che ha fatto.

Inoltre, è importante sapere che l’amico invisibile deve restare tale e con lui tutte le conseguenze delle sue azioni o desideri. Se per esempio,  l’amico siede a tavola con noi, avrà posate e piatti invisibili e mangerà un cibo invisibile, sarebbe sbagliato se gli riservassimo uno spazio reale (una sedia e dei piatti) confonderemmo i piani e nostro figlio potrebbe pensare che ci crediamo “veramente”.

Infine, ci dobbiamo preoccupare quando il bambino è talmente coinvolto nel suo rapporto con l’amico o gli amici immaginari da non voler più giocare con i bambini in carne ed ossa. In questo caso può servire l’aiuto di uno psicologo.

Chi sono e cosa vivono i Bambini con DSA?

I dati epidemiologici attuali riportano che circa il 3-6% della popolazione scolastica presenta significative difficoltà nell’acquisizione e nell’uso di lettura, scrittura e calcolo, si parla di circa un alunno per classe. Il disturbo non è direttamente attribuibile ad alterazioni neurologiche o ad anomalie di meccanismi fisiologici , deficit sensoriali , a ritardo mentale o a fattori ambientali.

La diagnosi di disturbo dell’apprendimento della letto-scrittura può essere fatta al secondo anno di scuola elementare, quando si ritengono ormai acquisite le competenze basiche e formali necessarie per questi apprendimenti; mentre per le abilità logico-matematiche si attende la terza elementare. In un’altissima percentuale di casi, un disturbo della letto-scrittura si associa ad uno riguardante le abilità logico-matematiche.
Nella maggior parte dei bambini, inoltre, un disturbo specifico dell’apprendimento sfocia in anomalie nelle relazioni interpersonali e disturbi emotivi e comportamentali : Il problema non è semplice e ha una lunga evoluzione, modificandosi con il passare degli anni e del ciclo scolastico. In ogni fase l’atteggiamento dei docenti, dei compagni di classe e della famiglia hanno un grande peso nel determinare evoluzioni positive o negative del vissuto psicologico di questi bambini.
Il bambino può vivere un sentimento di frustrazione, dovuto alla sua incapacità di soddisfare sempre le richieste e le aspettative dei genitori e/o degli insegnanti. Anche l’ansia è un altro vissuto psicologico del bambino con DSA, che porta ad evitare, molto spesso, esercizi e compiti ritenuti difficili. Un genitore o un’insegnante può, invece, interpretare questo comportamento come svogliatezza o pigrizia, sottovalutando l’aspetto emotivo del problema e assumendo un atteggiamento “giudicante”, che di certo non stimola il bambino a migliorarsi. Se queste emozioni non vengono ascoltate, molto spesso, possono trasformarsi in rabbia: rabbia contro i genitori, gli insegnanti, la scuola; e in vissuti depressivi: tristezza, mancanza di fiducia in sé, disistima, sentimenti auto-distruttivi, senso di non valere niente, isolamento dai coetanei, solitudine, ma anche comportamenti provocatori verso la scuola e i coetanei, proprio per mascherare il sentimento di dolore. Inoltre, non sono del tutto da sottovalutare le relazioni e l’integrazione con la classe, fondamentali per la stima di sé: il bambino, infatti, può percepire la sua “inferiorità” rispetto agli altri compagni, può sentirsi inadeguato, incompetente rispetto al livello di apprendimento della classe e quindi può mettere in atto una serie di comportamenti, che come abbiamo visto, sono deleteri per la sua crescita affettiva e cognitiva. Questi vissuti rischiano di strutturare una personalità condizionata dalla bassa autostima che avrà ricadute persistenti sul futuro personale e professionale.

Conclusioni :
Alla luce di tutte le considerazioni riportate, la medicina dell’evidenza sottolinea costantemente l’importanza di un’individuazione diagnostica precoce, accompagnata da un trattamento di recupero altrettanto immediato, in modo che vi possa essere un margine di guadagno favorevole e per limitare gli effetti consequenziali al disturbo.
Un lavoro di collaborazione tra famiglia, scuola e operatori sanitari (psicologo, logopedista, neuropsichiatra infantile) favorisce il miglioramento delle condizioni psicologiche del bambino, che si sentirà più sicuro delle sue capacità e vivrà maggiori occasioni di gratificazione e soddisfazione, dovuti alla consapevolezza di progredire nel percorso scolastico e di acquisire, via, via, maggiori competenze nella lettura, nella scrittura, nel calcolo, nella logica, e nella comprensione del testo.

Riabilitazione Equestre (ippoterapia)

L’Ippoterapia è l’insieme di tecniche mediche che utilizzano il cavallo per migliorare lo stato di salute di un soggetto umano.

Da questo punto di vista è da distinguersi dalle semplici pratiche ludiche che coinvolgano il cavallo senza il controllo di personale medico specificamente preparato.

L’ippoterapia consiste nell’induzione di miglioramenti funzionali psichici e motori attraverso l’attento uso dei numerosi stimoli che si realizzano nel corso della integrazione uomo-cavallo

È necessaria una specifica selleria mentre per il paziente non è previsto un particolare abbigliamento, proprio perché si tratta di sedute di terapia e non di concorsi di equitazione.

Per questa pratica si necessitano animali il più affidabili possibile: tranquilli e mansueti.

Si distinguono quattro fasi fondamentali:

– “Maternage”: Può essere considerata una fase preliminare del paziente che, insieme al terapista, comincia il suo approccio al cavallo;

– Ippoterapia: consiste nella somministrazione degli esercizi terapeutici al soggetto malato che non si occupa direttamente dei movimenti e degli altri stimoli provenienti dal cavallo ma a questi risponde automaticamente; questa fase è tanto più efficace quanto più attenta è la scelta e la progressione degli esercizi somministrati dalla equipe medica.

– Riabilitazione equestre: è una fase avanzata della cura. In essa il paziente controlla direttamente il cavallo attraverso le proprie azioni, re-inserimento sociale, punto di arrivo ottimale di tutto il programma terapeutico, il re-inserimento sociale può essere realizzato attraverso il mezzo del cavallo in quella parte dei pazienti che abbiano superato i deficit psico-motori originari che erano di ostacolo alla piena affermazione della persona.

L’ ippoterapia è rivolta, oltre che ai soggetti con patologie classiche della paralisi cerebrale infantile, dell’autismo o della sindrome di Down, anche ai soggetti con  patologie acquisite in conseguenza di traumi correlati alla infortunistica stradale e del lavoro.

Mediazione Familiare

La mediazione familiare è un intervento psicologico il cui obiettivo specifico è quello dell’attenuazione o se possibile della risoluzione dei conflitti familiari.

A questo tipo di intervento possono rivolgersi coppie in via di separazione o separate anche da molto tempo. L’importanza di questa forma di consulenza alle famiglie in trasformazione deve essere vista come forma di prevenzione e intervento sulla violenza che, a causa della conflittualità cronica, viene esercitata sul minore stesso e tra gli ex coniugi.

La Convenzione di New york del 1989 e la Convenzione Europea del 1995 definiscono necessario tutelare i diritti dei bambini, assicurando loro la continuità e la stabilità dell’ambiente affettivo e relazionale in cui sono allevati ovvero definiscono necessario assicurare al minore la continuità dei suoi affetti perché egli possa mantenere e sviluppare rapporti con entrambi i genitori e con le rispettive famiglie d’origine. Questo diritto alla bigenitorialità dopo la separazione e il divorzio dei coniugi è di fatto eluso, in quanto è ancora carente una cultura della separazione che tenga conto dei diritti del minore, anziché delle rivendicazioni dei coniugi.

Nella famiglia, infatti, i diritti e i doveri che ciascun soggetto ha come persona si esercitano in relazione ai diritti e ai doveri degli altri. Secondo questa prospettiva, garantire i diritti dei minori in quanto figli, significa anche garantire che ciascuno dei genitori deve poter essere messo in grado di assolvere ai suoi impegni legati alla funzione genitoriale: si garantiscono i diritti dei figli alla bigenitorialità, garantendo, promuovendo, sostenendo e affiancando la funzione genitoriale. Pertanto nei casi in cui essa è carente, per i noti fenomeni di frammentazione ed indebolimento della famiglia contemporanea legata ad una dinamica sociale sempre più a rischio, la famiglia va proposta come oggetto diretto di intervento e sostegno per un recupero delle sue potenzialità. Il minore è triangolato all’interno della conflittualità dei due genitori che continuano a confondere l’area coniugale con quella genitoriale.

La mediazione familiare, diffusasi nell’anni ’80 in USA e Canada e successivamente nella maggior parte dei Paesi Europei, si sta affermando anche in Italia come forma specifica d’intervento nella regolamentazione delle controversie e della conflittualità dei genitori separati o in fase di separazione.

La mediazione si differenzia dall’arbitrato e dalla psicoterapia di coppia. Si offre agli ex coniugi una situazione di ascolto, di dialogo, di negoziazione, con l’obiettivo di trovare un accordo sull’organizzazione della loro vita futura, per collaborare nell’adempimento delle funzioni genitoriali.

La negoziazione avviene su contenuti specifici, cominciando dai problemi meno gravi per finire con quelli più difficili per cercare di consolidare un clima di fiducia attraverso qualche piccolo successo.

Le aree della controversia vertono: sull’affidamento dei figli e sui modelli educativi; sui beni e sulle risorse economiche e finanziarie; sugli impegni e responsabilità che ciascuno può prendersi per l’educazione e il mantenimento dei figli; sulle risorse economiche e materiali necessarie per il mantenimento di un adeguato tenore di vita di entrambi. Le questioni vengono affrontate una per volta, in modo che si possa capire il punto di vista di ognuno e i singoli interessi. Inoltre, si deve fare attenzione alle risorse emotive e alle capacità di ciascun coniuge di fare qualche progetto per il proprio futuro, dimensione mentale necessaria a distogliere la persona dalla rigidità conflittuale.