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Come leggere un disturbo d’ansia. Origine, mantenimento ed intervento.
L’ansia è un emozione come la paura, la rabbia, la gioia e che come le altre ha un ruolo importante nella vita. Nel mio lavoro clinico mi capita spesso di ricevere richieste di aiuto e di intervento per affrontare situazioni legate all’ansia che provoca nelle persone uno stato di disagio profondo ed interferente in grado di compromettere fortemente la qualità della loro vita.
Chi vive uno stato di ansia è generalmente impaurito, è spesso teso e vive male anche il più piccolo cambiamento quotidiano, gestisce male le novità immaginando sempre un esito negativo legato alla situazione ha inoltre l’idea che vi sia sempre un pericolo imprecisato che sta per sopraggiungere.
Un disturbo d’ansia si può manifestare in molti diversi modi: dalla paura di guidare, alle fobie, all’impossibilità di poter lasciare casa per la paura di dover continuamente andare in bagno, all’idea che uscendo di casa potrebbe sopraggiungere un attacco improvviso ed ingestibile di ansia paralizzante, per tutti questi motivi la persona potrebbe arrivare ad adottare nel tempo uno stile di vita sempre di più ritirato e basato sull’evitamento continuo di situazioni che creano ed alimentano l’ansia.
Il corpo di chi soffre di ansia è sempre in uno stato di tensione pronto ad affrontare un’emergenza imminente – reale o immaginata -, ciò determina la comparsa di numerosi sintomi fisici tra i quali l’aumento della frequenza cardiaca, l’aumento della sudorazione, tensione muscolare, tremore e pallore in viso.
L’ansia è un emozione come la paura, la rabbia, la gioia e che come le altre ha un ruolo importante nella vita: ha una speciale funzione adattiva per l’individuo ed è legata alla sopravvivenza stessa della persona, in molti casi però la si associa solo ed esclusivamente all’aspetto di paura e terrore considerandone, in questo modo, solo il mero aspetto negativo e disfunzionale.
Diversamente dall’ansia breve e legata ad un singolo evento come un esame o un primo appuntamento, i disturbi d’ansia patologici si protraggono per almeno 6 mesi con una naturale tendenza al peggioramento se non trattati. La prima manifestazione clinica importante solitamente è intorno alla tarda adolescenza prima età adulta e il singolo episodio non necessariamente evolve automaticamente nel disturbo più grande di attacco di panico.
Il lavoro psicoterapeutico che faccio con chi soffre di disturbi d’ansia è nella direzione della ridefinizione dell’ansia come campanello di allarme da leggere sia come segnale specifico di qualcosa che non va e che non è più funzionale ma anche come qualcosa da decifrare, come un messaggio ricco di significati da comprendere all’interno della storia personale e familiare della persona sintomatica. Considero quindi l’ansia come uno stato psichico particolare, caratterizzato da sensazioni di preoccupazione e paura, correlato da molteplici sintomi fisici tali da far pensare ad una vera e propria patologia di natura organica quasi come un attacco cardiaco, il cui ruolo e la cui funzione nella vita della persona sintomatica può essere compreso e connotato di significati relazionali all’interno di una efficace psicoterapia.
Quello che accade al corpo negli attacchi di panico è molto caratteristico e comprende: accelerazione del battito cardiaco, una forte sudorazione, svenimento, vertigini, vampate di calore, nausea formicolio alle mani e sensazione di soffocamento. Chi soffre di Attacchi di Panico vive il momento successivo ad un attacco nell’attesa che il prossimo sopraggiunga alimentando lo stato di ansia anticipatoria tra un episodio e l’altro.
Se la paura è la risposta emotiva ad una minaccia, l’ansia è invece l’anticipazione di una minaccia futura e nei disturbi d’ansia questi due stati spesso si sovrappongono e al tempo stesso hanno però delle caratteristiche differenti: la paura è associata a picchi di attivazione del sistema nervoso autonomo, quello addetto cioè al controllo delle funzioni vegetative non soggette al controllo volontario della persona necessario alla lotta e fuga, l’ansia è invece più spesso associata alla tensione muscolare, alla vigilanza e alla preparazione al pericolo futuro nonché a comportamenti prudenti e di evitamento.
I disturbi di ansia sono molteplici e si differenziano tra loro sia per la tipologia degli oggetti cui sono associati che per le situazioni che provocano paura, ansia o comportamenti di evitamento ma anche per l’ideazione cognitiva associata.
Molti disturbi d’ansia si sviluppano in età infantile e tendono a persistere se non curati, un disturbo caratteristico della fanciullezza è il disturbo di ansia da separazione che riguarda la separazione dalle figure di attacamento – i genitori – ed ha un livello di gravità inappropriato rispetto alla situazione e al livello di sviluppo, nonostante questo sia un disturbo sia tipico della fanciullezza potrebbe persistere e manifestarsi anche fino all’età adulta.
Il mutismo selettivo, la fobia specifica, l’ansia sociale, il disturbo ossessivo compulsivo, il disturbo post traumatico da stress, il disturbo da attacco di panico sono solo alcuni dei disturbi d’ansia.
L’ansia è un sintomo e come tale è da considerarsi: come un messaggero, portatore di significati da decodificare e leggere all’interno della storia emotiva e relazionale della persona. I sintomi in generale, quelli ansiosi in particolare, possono essere considerati anche come elementi protettivi capaci di aiutare la persona a esporsi meno, a proteggersi in tutte quelle situazioni della vita in cui ci si può non sentire sufficientemente in grado di affrontare una fase particolare del ciclo vitale, in questa ottica si colloca allora efficacemente un percorso di psicoterapia, finalizzato alla comprensione del momento del ciclo vitale, allo scioglimento dei nodi emotivi che hanno determinato la situazione di ansia e di empasse della crescita e dello sviluppo della persona.
Come riconoscere e cosa fare con un bambino oppositivo-provocatorio
Che cos’è? Il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) è una patologia neuropsichiatrica dell’età evolutiva, caratterizzata da una modalità ricorrente di comportamento negativistico, ostile e di sfida, che però non arriva a violare le norme sociali né diritti altrui.
La diagnosi in età evolutiva non è sempre facile, in quanto, il soggetto attraversa un periodo d’instabilità, in cui affronta cambiamenti repentini che lo fanno crescere mentalmente e fisicamente. Spesso tra normalità e patologia c’è un confine molto sottile, che diventa quasi invisibile quando si analizzano dei bambini. Infatti, nel corso della prima infanzia spesso i bambini diventano davvero incontrollabili, corrono da una parte all’altra, rompono tutto per la curiosità di scoprire come sono fatte le cose all’interno. L’aggressività e l’ostilità sono mezzi attraverso i quali si esprime l’egoismo infantile e servono al bambino per imparare a distinguere il sé dagli altri, a capire le regole sociali ed a sperimentare le prime forme d’adattamento.
Possono essere scontrosi e capricciosi ma nei bambini che manifestano comportamenti oppostivo provocatori queste caratteristiche si presentano amplificate tanto da arrivare a compromettere, in maniera significativa, il loro inserimento sociale.
Come si manifestano i bambini con tale disturbo?
Il bambino può presentare spesso collera, sfida o rifiuto di rispettare le regole proposte dagli adulti, spesso litiga con gli adulti e irrita deliberatamente le persone, accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento. È spesso arrabbiato, rancoroso, dispettoso e vendicativo. Già nell’età prescolare, può avere temperamenti problematici ma è intorno ai 3 – 4 anni, con l’ingresso a scuola che il problema diverrà sempre più evidente. Questi bambini, infatti, mostrano una totale incapacità di adattamento alle regole scolastiche, influenzando anche l’attività didattica dell’intera classe. Possono presentare scarsa autostima, labilità d’umore, scarsa tolleranza alla frustrazione, conflitti con genitori, insegnanti e coetanei.
Prendersene cura è molto difficile, sono causa di stanchezza, di scoraggiamento e di frustrazione per chiunque cerchi di instaurare con loro un rapporto.
Come aiutarli ad uscire da questo stato di disagio?
La parola d’ordine, di un buon intervento educativo e psicologico, dovrà essere “comprensione”.
Sono bambini che non vanno curati, né cambiati, ma prima di tutto capiti.
Con i loro comportamenti sembrano volerci allontanare, ma se ce ne andiamo soffrono di solitudine.
Forse sono ostili perché cercano di difendersi, a causa di traumi che li hanno portati a diffidare degli altri, oppure vogliono attirare l’attenzione, perché hanno bisogno di comunicare i loro problemi e non conoscono altro canale che l’aggressività.
Il soggetto affetto dal DOP non vive una vita felice e serena, l’immagine che ha di sé è molto svalutante, si considera un incapace, indegno dell’amore altrui e crede che nessuno mai gli potrà essere amico, si sente continuamente rifiutato, anche se sa di essere lui stesso la causa del suo isolamento. Il rapporto che questi soggetti hanno con i loro parenti è molto complesso, alla lunga, tende a sgretolare l’unità familiare.
Sono gli stessi genitori ad attribuire ai loro figli delle etichette, a definirli “insopportabili”, “aggressivi”, “terribili”. Queste espressioni che possono essere dettate da un momento di collera, se ripetute più e più volte, vengono interiorizzate dal bambino.
Se qualcuno gli si avvicina per instaurare un rapporto, anziché esserne felice, si mostra diffidente e reagisce con il suo repertorio di comportamenti ostili, come a voler mettere alla prova le intenzioni del suo interlocutore: “Mi vuoi bene anche se ti dimostro che non valgo niente, anche se ti faccio vedere che mi sono preso gioco di te? Mi vuoi bene anche se io stesso sono sicuro di essere un buono a nulla, e sono certo che nessuno mi potrà mai amare?”.
Diversi sono i metodi, utilizzabili sia in un contesto scolastico che familiare, che permettono di “punire” il bambino in maniera intelligente, evitando cioè di fare ricorso a castighi rigidi e rimproveri umilianti, che potrebbero produrre effetti indesiderati. Per esempio: preferire sempre la perdita di un privilegio (es. uscire o guardare la tv) alla punizione (es. fare qualcosa di spiacevole); se si decide di punire NON usare mai la violenza fisica; ricordarsi di dare il “buon esempio”.
La punizione non dovrà servire a formulare giudizi, ma dovrà limitarsi a descrivere il comportamento indesiderato in maniera obiettiva. Al bambino verranno spiegate le motivazioni che rendono sbagliata tale condotta, verranno suggerite modalità comportamentali alternative e verranno indicati i vantaggi derivanti dalla loro messa in atto.
Inoltre, è molto utile concentrare l’attenzione sui genitori e sulle loro pratiche educative, perché possono aver giocato un ruolo importante nello sviluppo e nel mantenimento del disagio. Si deve evitare sempre di dare giudizi pessimistici, perché possono generare stati emotivi negativi nei genitori. Invece è importante sostenerli per trovare le strategie giuste affinché si possa modificare l’attuale situazione.
Quel vuoto incolmabile delle persone che soffrono di disturbo da alimentazione incontrollata binge eating disorder BED
Il Binge Eating Disorder è un disturbo del comportamento alimentare che si presenta con episodi di abbuffate alimentare, è un comportamento che può presentarsi durante la fase adolescenziale ma non solo, al contrario della bulimia nervosa può ma non sempre presentare comportamenti compensatori come il vomito o l’utilizzo di lassativi, più frequente è invece presente la fase di digiuno successiva.
Le persone che manifestano questo tipo di disordine sono persone sofferenti, con una scarsa considerazione di se stesse e il cibo, nella forma delle abbuffate, diventa un modo per calmare ansie e sofferenze.
Come si manifesta il disturbo:
– Le abbuffate devono avvenire almeno due volte alla settimana;
– Le abbuffate devono versi farsi per un periodo di almeno sei mesi;
– Le abbuffate sono generalmente indipendenti dallo stimo della fame;
– Le abbuffate avvengono quasi sempre in solitudine;
– Le abbuffate non ottengono un effetto gratificante per la persona ma soltanto un vissuto di colpa;
– Le abbuffate non comportano un meccanismo di compensazione (vomito, lassativi o esercizio fisico).
L’assenza di strategie compensatorie strutturate per il controllo del peso determina, nella maggior parte dei casi, un aumento consistente del peso corporeo alimentando ancor più il senso di inadeguatezza e frustrazione che è poi il vissuto emotivo che determina il ritorno alla necessità dell’abbuffata innescando un circolo vizioso che non lascia scampo alla persona. Uno stato depressivo sottostante ed aspetti di scarsa autostima sono sicuramente alcuni degli aspetti de favoriscono l’insorgenza del disturbo e alimentano il BED.
L’intervento terapeutico che meglio si adatta al Binge Eating Disorder è sicuramente uno di tipo multidisciplinare che possa prevedere una collaborazione tra diversi specialisti: psicoterapeuta, nutrizionista e psichiatra laddove risulti necessaria l’assunzione di farmaci soprattutto per la modulazione dell’umore con l’assunzione di ansiolitici ed antidepressivi.
La psicoterapia dovrà tenere in considerazione aspetti diversi della persona: sia quelli legati al dimorfismo corporeo che quelli più legati a vissuti ansiosi e depressivi, la presa in carico della situazione dovrà tenere conto della profonda complessità emotiva e relazionale in cui vive la persone affetta dal Binge Eating Disorder.
Shopping Mon Amour, I love Shopping … Shopping che passione?
Il disturbo da shopping compulsivo rientra nella più ampia categoria del disturbo del controllo degli impulsi che così come definiti dal DSM-IV, sono disturbi di natura psichica caratterizzati dall’irrefrenabile impulso di compiere un gesto o un azione, sono sovente preceduti da uno stato di forte attivazione ansiosa ma nonostante ciò, dopo il compimento dell’azione spesso il vissuto è quello del senso di colpa, frustrazione e vergogna.
Si avverte la sensazione di eccitamento nel momento prima di compiere l’azione che determina piacere e gratificazione ma la cui durata è spesso breve ed effimera.
Gli oggetti che si comprano sono inutili o eccessivi – come l’acquisto di scarpe o dell’ennesimo vestito – nonostante ciò l’acquisto non può non essere evitato o ricercato. Gli episodi di acquisto compulsivo possono ripetersi più volte anche in un solo giorno e possono determinare uno stato di profondo disagio per la persona proprio perché la stessa si rende conto dell’inutilità del gesto e dell’oggetto, e del danno sul piano finanziario, relazionale e lavorativo.
Nello shopping compulsivo si possono identificare dei prodromi tipici caratterizzati tutti dal senso di urgenza nel dovere acquistare qualcosa a volte qualcosa di specifico altre volte solamente un semplice acquisto. Quando ci si prepara all’acquisto le emozioni tipiche sono sgradevoli come la tristezza, la rabbia o la noia, emozioni però che non possono essere riconosciute dalla persona che vive solo un senso di insoddisfazione e inadeguatezza profonde e che vede nell’acquisto la risoluzione di tale malessere.
La necessità dell’acquisto ripetuto e compulsivo determina anche l’acquisizione di strategie economiche per la soddisfazione: spesso queste persone si trovano ad avere più carte di credito, ad utilizzarle in maniera disordinata, a chiedere prestiti e comunque a compromettere in maniera consistente l’aspetto economico personale e familiare.
Si acquistano oggetti dai quali si è ammaliati, talvolta gli si attribuisce quasi un potere magico, salvifico: l’acquisto di quello specifico oggetto, o di quel determinato paio di scarpe potrebbe rendere la persona migliore e finalmente serena, potrebbe risolverle tutti i problemi!
In realtà quello che accade immediatamente dopo è un senso di frustrazione profondo nonché un vissuto di colpa per l’acquisto fatto e tutta l’euforia che aveva preceduto l’acquisto immediatamente scompare per lasciare spazio ad un senso di sconforto, di vergogna e delusione.
Un episodio di acquisto compulsivo sembrerebbe organizzarsi intorno a specifiche emozioni e non su reali bisogni.
Gli oggetti acquistati non solo non sono realmente necessari, ma spesso sono solo delle copie di cose che già si posseggono e comunque una volta acquistati perdono subito la loro importanza per essere dimenticati nell’armadio, regalati o nascosti.
Le persone che soffrono di questo disturbo spesso riconoscono di avere un problema, la categoria più a rischio è quella femminile tra i 20 e i 30 anni di età.
L’acquisto compulsivo sembrerebbe essere a tutti gli effetti un processo di compensazione interno che ha l’azione di determinare un senso di pace interiore momentanea e fittizia rispetto a qualcosa che manca e di cui si ha un forte bisogno ma che chiaramente non è nulla di materiale. Lo shopping avrebbe il compito di alleviare la persona da uno doloroso stato emotivo sottostante, spesso di natura depressiva, di cui però non si è completamente consapevoli.
Il percorso di psicoterapia può aiutare la persona a distingue i reali bisogni emotivi, a controllare gli aspetti compulsivi per arrivare a comprendere la vera natura del disagio.
Chi sono e cosa vivono i Bambini con DSA?
I dati epidemiologici attuali riportano che circa il 3-6% della popolazione scolastica presenta significative difficoltà nell’acquisizione e nell’uso di lettura, scrittura e calcolo, si parla di circa un alunno per classe. Il disturbo non è direttamente attribuibile ad alterazioni neurologiche o ad anomalie di meccanismi fisiologici , deficit sensoriali , a ritardo mentale o a fattori ambientali.
La diagnosi di disturbo dell’apprendimento della letto-scrittura può essere fatta al secondo anno di scuola elementare, quando si ritengono ormai acquisite le competenze basiche e formali necessarie per questi apprendimenti; mentre per le abilità logico-matematiche si attende la terza elementare. In un’altissima percentuale di casi, un disturbo della letto-scrittura si associa ad uno riguardante le abilità logico-matematiche.
Nella maggior parte dei bambini, inoltre, un disturbo specifico dell’apprendimento sfocia in anomalie nelle relazioni interpersonali e disturbi emotivi e comportamentali : Il problema non è semplice e ha una lunga evoluzione, modificandosi con il passare degli anni e del ciclo scolastico. In ogni fase l’atteggiamento dei docenti, dei compagni di classe e della famiglia hanno un grande peso nel determinare evoluzioni positive o negative del vissuto psicologico di questi bambini.
Il bambino può vivere un sentimento di frustrazione, dovuto alla sua incapacità di soddisfare sempre le richieste e le aspettative dei genitori e/o degli insegnanti. Anche l’ansia è un altro vissuto psicologico del bambino con DSA, che porta ad evitare, molto spesso, esercizi e compiti ritenuti difficili. Un genitore o un’insegnante può, invece, interpretare questo comportamento come svogliatezza o pigrizia, sottovalutando l’aspetto emotivo del problema e assumendo un atteggiamento “giudicante”, che di certo non stimola il bambino a migliorarsi. Se queste emozioni non vengono ascoltate, molto spesso, possono trasformarsi in rabbia: rabbia contro i genitori, gli insegnanti, la scuola; e in vissuti depressivi: tristezza, mancanza di fiducia in sé, disistima, sentimenti auto-distruttivi, senso di non valere niente, isolamento dai coetanei, solitudine, ma anche comportamenti provocatori verso la scuola e i coetanei, proprio per mascherare il sentimento di dolore. Inoltre, non sono del tutto da sottovalutare le relazioni e l’integrazione con la classe, fondamentali per la stima di sé: il bambino, infatti, può percepire la sua “inferiorità” rispetto agli altri compagni, può sentirsi inadeguato, incompetente rispetto al livello di apprendimento della classe e quindi può mettere in atto una serie di comportamenti, che come abbiamo visto, sono deleteri per la sua crescita affettiva e cognitiva. Questi vissuti rischiano di strutturare una personalità condizionata dalla bassa autostima che avrà ricadute persistenti sul futuro personale e professionale.
Conclusioni :
Alla luce di tutte le considerazioni riportate, la medicina dell’evidenza sottolinea costantemente l’importanza di un’individuazione diagnostica precoce, accompagnata da un trattamento di recupero altrettanto immediato, in modo che vi possa essere un margine di guadagno favorevole e per limitare gli effetti consequenziali al disturbo.
Un lavoro di collaborazione tra famiglia, scuola e operatori sanitari (psicologo, logopedista, neuropsichiatra infantile) favorisce il miglioramento delle condizioni psicologiche del bambino, che si sentirà più sicuro delle sue capacità e vivrà maggiori occasioni di gratificazione e soddisfazione, dovuti alla consapevolezza di progredire nel percorso scolastico e di acquisire, via, via, maggiori competenze nella lettura, nella scrittura, nel calcolo, nella logica, e nella comprensione del testo.