Come riconoscere e cosa fare con un bambino oppositivo-provocatorio

Che cos’è? Il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) è una patologia neuropsichiatrica dell’età evolutiva, caratterizzata da una modalità ricorrente di comportamento negativistico, ostile e di sfida, che però non arriva a violare le norme sociali né diritti altrui.

La diagnosi in età evolutiva non è sempre facile, in quanto, il soggetto attraversa un periodo d’instabilità, in cui affronta cambiamenti repentini che lo fanno crescere mentalmente e fisicamente. Spesso tra normalità e patologia c’è un confine molto sottile, che diventa quasi invisibile quando si analizzano dei bambini. Infatti, nel corso della prima infanzia spesso i bambini diventano davvero incontrollabili, corrono da una parte all’altra, rompono tutto per la curiosità di scoprire come sono fatte le cose all’interno. L’aggressività e l’ostilità sono mezzi attraverso i quali si esprime l’egoismo infantile e servono al bambino per imparare a distinguere il sé dagli altri, a capire le regole sociali ed a sperimentare le prime forme d’adattamento.

Possono essere scontrosi e capricciosi ma nei bambini che manifestano comportamenti oppostivo provocatori queste caratteristiche si presentano amplificate tanto da arrivare a compromettere, in maniera significativa, il loro inserimento sociale.

Come si manifestano i bambini con tale disturbo?

Il bambino può presentare spesso collera, sfida o rifiuto di rispettare le regole proposte dagli adulti, spesso litiga con gli adulti e irrita deliberatamente le persone, accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento. È spesso arrabbiato, rancoroso, dispettoso e vendicativo. Già nell’età prescolare, può avere temperamenti problematici ma è intorno ai 3 – 4 anni, con l’ingresso a scuola che il problema diverrà sempre più evidente. Questi bambini, infatti, mostrano una totale incapacità di adattamento alle regole scolastiche, influenzando anche l’attività didattica dell’intera classe. Possono presentare scarsa autostima, labilità d’umore, scarsa tolleranza alla frustrazione, conflitti con genitori, insegnanti e coetanei.

Prendersene cura è molto difficile, sono causa di stanchezza, di scoraggiamento e di frustrazione per chiunque cerchi di instaurare con loro un rapporto.

Come aiutarli ad uscire da questo stato di disagio?

La parola d’ordine, di un buon intervento educativo e psicologico, dovrà essere “comprensione”.

Sono bambini che non vanno curati, né cambiati, ma prima di tutto capiti.

Con i loro comportamenti sembrano volerci allontanare, ma se ce ne andiamo soffrono di solitudine.

Forse sono ostili perché cercano di difendersi, a causa di traumi che li hanno portati a diffidare degli altri, oppure vogliono attirare l’attenzione, perché hanno bisogno di comunicare i loro problemi e non conoscono altro canale che l’aggressività.

Il soggetto affetto dal DOP non vive una vita felice e serena, l’immagine che ha di sé è molto svalutante, si considera un incapace, indegno dell’amore altrui e crede che nessuno mai gli potrà essere amico, si sente continuamente rifiutato, anche se sa di essere lui stesso la causa del suo isolamento. Il rapporto che questi soggetti hanno con i loro parenti è molto complesso, alla lunga, tende a sgretolare l’unità familiare.

Sono gli stessi genitori ad attribuire ai loro figli delle etichette, a definirli “insopportabili”, “aggressivi”, “terribili”. Queste espressioni che possono essere dettate da un momento di collera, se ripetute più e più volte, vengono interiorizzate dal bambino.

Se qualcuno gli si avvicina per instaurare un rapporto, anziché esserne felice, si mostra diffidente e reagisce con il suo repertorio di comportamenti ostili, come a voler mettere alla prova le intenzioni del suo interlocutore: “Mi vuoi bene anche se ti dimostro che non valgo niente, anche se ti faccio vedere che mi sono preso gioco di te? Mi vuoi bene anche se io stesso sono sicuro di essere un buono a nulla, e sono certo che nessuno mi potrà mai amare?”.

Diversi sono i metodi, utilizzabili sia in un contesto scolastico che familiare, che permettono di “punire” il bambino in maniera intelligente, evitando cioè di fare ricorso a castighi rigidi e rimproveri umilianti, che potrebbero produrre effetti indesiderati. Per esempio: preferire sempre la perdita di un privilegio (es. uscire o guardare la tv) alla punizione (es. fare qualcosa di spiacevole); se si decide di punire NON usare mai la violenza fisica; ricordarsi di dare il “buon esempio”.

La punizione non dovrà servire a formulare giudizi, ma dovrà limitarsi a descrivere il comportamento indesiderato in maniera obiettiva. Al bambino verranno spiegate le motivazioni che rendono sbagliata tale condotta, verranno suggerite modalità comportamentali alternative e verranno indicati i vantaggi derivanti dalla loro messa in atto.

Inoltre, è molto utile concentrare l’attenzione sui genitori e sulle loro pratiche educative, perché possono aver giocato un ruolo importante nello sviluppo e nel mantenimento del disagio. Si deve evitare sempre di dare giudizi pessimistici, perché possono generare stati emotivi negativi nei genitori. Invece è importante sostenerli per trovare le strategie giuste affinché si possa modificare l’attuale situazione.